La Guerra Civile Americana 1861-1865
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Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale

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Messaggio  Banshee Ven 22 Mar 2013 - 19:49

Raimondo Luraghi, La Guerra Civile Americana-Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, pp. 254, Rizzoli, 2013.

Atteso a lungo, ma ahimé postumo per l'intervenuta scomparsa dell' ormai anziano Autore, Raimondo Luraghi, eminente autorità accademica italiana (Professore Ordinario e poi Emerito presso l'Università degli Studi di Genova, nonchè Visiting Professor presso numerose accademie americane) e ben noto agli appassionati della GCA per i suoi illustri lavori sul conflitto americano (Storia della Guerra Civile Americana, Torino 1966 essendo il più noto) appare finalmente per i tipi della Rizzoli il suo ultimo e definitivo studio sulla materia.

Occorre subito dire che il sottotitolo rispecchia assai fedelmente il contenuto di questo agile volumetto: Luraghi non intende certo riscrivere la storia della guerra civile, peraltro da lui stesso affrontata quasi 50 anni orsono con ben diversa ampiezza (quasi 1300 pagine allora a fronte delle poco più di 200 attuali) ma piuttosto focalizzare e rivedere alcune tematiche e soprattutto analizzare i suoi principali protagonisti.

Di qui la scelta dei sette temi trattati: in primis una riflessione globale sul significato della guerra civile americana sulle sue origini, sulla condotta e sulle conseguenze sulla società americana e sulla storia militare, poi un'analisi, rispettivamente, delle figure di R. E. Lee e U. S. Grant, ossia i due principali condottieri delle forze contrapposte, un breve intermezzo dedicato alle decisioni adottate nel 1863 dalla Confederazione ("Gettysburg o Vicksburg?"), poscia una breve biografia con notevoli approfondimenti su Nathan Bedford Forrest, uno svelto ritratto di Sherman e infine poche riflessioni su Lincoln.

A tutta vista, la scelta desta perplessità nell'esclusione della figura del generale confederato Johnston, attesa l'importanza e il ruolo rivestito nel corso della guerra (in negativo o positivo, ovviamente) e della figura del Presidente confederato Jefferson Davis. La scelta di privilegiare nel campo confederato, la figura del generale Forrest, per quanto costui sia stato validissimo uomo e generale, lascia un poco perplessi. Non che gli accenni a Johnston o a Davis manchino(vedremo poi in quale modo) ma l'impianto generale del libro sembra soffrirne se non altro per una questione di par condicio tra le parti.


(1-CONTINUA)


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Messaggio  Homo Universalis Ven 22 Mar 2013 - 19:56

Grazie, Generale Banshee, per il post! cheers Tenerci informati! study

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Messaggio  Benjamin F. Cheatham Ven 22 Mar 2013 - 20:24

Mi è arrivato il libro, ovviamente non l'ho ancora letto, volevo scrivere due righe ma il caro Banshee mi ha anticipato Very Happy
7 punti di vista su altrettanti argomenti. In effetti si potrebbe stare a discutere una vita sulla scelta di un tema rispetto ad un altro. Anche le 30 pagine di media per capitolo sembrano poche.
Sicuramente se ci aspettassimo uno scritto esaustivo, rimarremmo delusi, ma come dice Banshee forse l'intenzione è quella di focalizzare più che riscrivere.

Claudio

PS Credo che Raimondo Luraghi abbia volutamente omesso il capitolo sul generale Johnston, perché ci penserà una persona di mia conoscenza a scrivere di Lui.Rolling Eyes
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Messaggio  R.E.Lee Ven 22 Mar 2013 - 20:56

Il libro mi è arrivato oggi! Spero di poterlo leggere al più presto (ma non sarà cosa facile.... What a Face ).

Intanto ho letto la prefazione. Mi ha colpito molto la frase conclusiva di essa: <....Infine la schiera dei miei fedeli lettori: a loro consegno questo mio ultimo libro con il classico augurio latino: "Ave vatque vale!">

Mi sono commosso.


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Messaggio  P.G.T. Beauregard Ven 22 Mar 2013 - 21:50

Mi sono permesso di modificare il nome della discussione inserendo il titolo completo del libro onde evitare confusione con altri libri di Luraghi.

Ciao
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Messaggio  George Armstrong Custer Sab 23 Mar 2013 - 8:11

Ho notato che hanno cambiato il titolo del libro; all'inizio, quando doveva ancora uscire, il titolo principale era "Nord contro Sud".
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Messaggio  Banshee Sab 23 Mar 2013 - 10:26

Il primo saggio, significativamente intitolato "Centocinquant'anni dopo. Che cosa è realmente stata la guerra civile americana?" vuole rispondere alla domanda che è posta nelle prime righe dello stesso, ossia quale sia stata l'essenza di quel conflitto da intendersi quale scontro tra due civilità. Dopo aver ripercorso la storiografia in materia (1) e aver messo giustamente in guardia il lettore dai pericoli "della crescente imposizione del così detto politically correct" (p. 17) e dal tentativo di deformare la realtà del mondo del Sud per esaltare il ruolo degli afroamericani, l'Autore non può che muovere dall'analisi dello spirito che animava il pensiero e i protagonisti delle due sezioni, per arrivare ad una conclusione nient'affatto scontata: essa fu lo scontro tra due mondi contrapposti, o meglio ancora tra due visioni del monod contrapposte. Quello sudista che aveva dato origine ad una civiltà fondata su valori precapitalistici quasi feudali e di cui la schiavitù non era tanto e solo l'aspetto economico, ma essa stessa parte fondante al punto da influenzarne lo stile di vita e pensiero. E all'opposto di essa il Nord, con lo spirito imprenditoriale e la spinta industriale che ne guidavano l'agire. Qui Raimondo Luraghi è al suo meglio, occorre dirlo da subito. L'analisi dell'èlite sudista (che viene significativamente definita "aristocratica", un termine che l'Autore era molto più restio ad impiegare nei suoi precedenti lavori, ma che qui trova affermazione completa e diffusa) è certamente condivisibile, anche se l'accento, rispetto ai lavori precedenti, viene maggiormente posto sulla questione della schiavitù. Per chi conosca i precedenti lavori e specialmente l'ultimo significativo apporto ( i.e. La spada e le magnolie) che ha preceduto il volume in esame, non vi sono particolari novità: appare evidente rispetto all'opera prima di Luraghi, l'influenza degli scritti di Genovese e una prospettiva - sempre rispetto all'opera del 1966 - di più radicale rottura tra i due schieramenti. La tesi ultima è che la società sudista (giustamente l'Autore rifiuta, a nostro avviso l'idea di una nazione sudista) si era ormai radicata in un mondo a sé stante basato su concetti e ideali del tutto distinti (orgoglio per l'appartenenza al gruppo sociale bianco dominante, paternalismo nei confronti degli afroamericani, rifiuto dell'etica mercantile) che ne facevano un mondo a parte (un herrenvolk, come è stato da altri definito, cioè un gruppo d'èlite schierato a difesa della cultura e della supremazia) - con una sorta di salto nel tempo potremmo definirla l'unica società feudale costituitasi in unione strutturata nel mondo moderno - che rifiutava per angoscia e paura ogni compromesso con il mondo esterno. La secessione e la conseguente guerra civile non furono che l'approdo naturale di quello sviluppo. Dal conflitto sarebbe poi sorta la nazione americana moderna. L'analisi di Luraghi partendo spesso da tesi marxiane ha però il merito di prescindere da concetti quali struttura e sovrastruttura o sciocchezze simili per penetrare nel profondo delle categorie dello spirito sudista: e qui certamente l'Autore domina la materia come pochi altri.


Bisogna, purtroppo, dare poi conto della successiva lettura, il cui titolo, "Robert E. Lee. L'ultimo generale della guerra napoleonica" già contiene in nuce, quello che è il fulcro della tesi di Luraghi: e cioè in sostanza che il grande generale confederato fu, per quanto eccellente condottiero (almeno questo pare non lo si possa negare), un tattico del tutto incapace di comprendere i mutamenti intervenuti nel campo della guerra a seguito dell'introduzione delle armi rigate e uno stratega (a livello operazionale, non a livello "globale" come vedremo)ancora legato all'idea della battaglia campale come mezzo risolutore della guerra. Due concetti, che occorre dirlo subito, a parere dello scrivente (ma non solo) sono in gran parte il frutto di una totale mistificazione e di un completo travisamento dell'uomo e del generale e che Luraghi (derivandole dal pensiero dello storico Russel F. Weigley), dipartendo almeno in parte da quelle che erano state le sue tesi nell'opera del 1966, sembra ahimé aver fatte proprie, via via sempre maggiormente, nel corso degli anni.





(1) Si noti che tuttavia tale panoramica (pp. 12-17) si ferma agli anni 70' con i contributi di Eugene D. Genovese, senza ricomprendere l'ampio dibattito e i successivi sviluppi che hanno seguito quella lontana epoca - pensiamo a titolo di mero esempio ai contributi di Alan C. Guelzo, Paul D. Escott, James McPherson o di William W. Freehling, per citare solo alcuni dei più noti, l'elenco sarebbe molto più ampio - sicché si può ben dire che tale excursus appare ictu oculi carente, con l'inesplicabile inserzione. tra l'altro, di Edwin C. Bearss, il quale si è occupato esclusivamente di materie militari.

(2.-CONTINUA)


Ultima modifica di Banshee il Sab 23 Mar 2013 - 11:58 - modificato 1 volta.
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Messaggio  Homo Universalis Sab 23 Mar 2013 - 10:42

Luraghi è stato forse il miglior storico italiano circa la GCA. Ho letto alcune opere da lui e ci dà un nuovo look per quanto riguarda le cause della guerra. Per esempio, dice che "schiavitù giocò un ruolo nell'inizio della guerra. Ma Lincoln e i repubblicani avevano detto che volevo fare nulla contro la schiavitù nel sud, era solo contro la sua espansione nei territori occidentali. Il motivo era questo: senza schiavitù in Occidente, questi Stati sarebbe non meridionale e settentrionale. Che vuoi isolare il sud e rimuovere qualsiasi influenza di essa nel governo dell'Unione.
Questo mi ha fatto pensare più seriamente che Emancipation Proclamation(che non libera gli schiavi nel nord) è stata una manovra politica di Lincoln a deflettore europei e impedire loro di sostenere il sud.

Ciao,
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Messaggio  Banshee Dom 24 Mar 2013 - 10:32

Quanto al primo aspetto, scrive l'Autore che "nei suoi disegni operativi Lee fu costantemente influenzato da una naturale tendenza all'aggressività (...) in questo Lee sofferse di due gravi limitazioni che a lunga distanza contribuirono a spiegarne la disfatta finale. Anzitutto la soluzione era da cercarsi, secondo lui, unicamente sul fronte virginiano [qui è evidente la confusione in Luraghi tra livello strategico e livello operazionale, ma di ciò oltre] (...)" In secondo luogo Lee sarebbe stato convinto che le battaglie di annientamento di stile napoleonico avrebbero risolto la guerra. "Questo significa - ne conclude Luraghi -che egli non aveva compreso, né comprese veramente mai, le drastiche trasformazioni che la rivoluzione industriale aveva portato nella guerra anzitutto mediante lintroduzione delle armi a canna rigata, che avrebbero definitivamente sanzionato la prevalenza della difesa sull'attacco (...) ora il fucile rigato poteva uccidere a oltre un chilometro rendendo proibitivo l'avvicinarsi delle schiere nemiche (...) i tentativi di battaglia risolutiva mediante grandi assalti alla baionetta sui risolsero per le sue truppe in sanguinosi fallimenti" (pp. 94-96).
La tesi si presta a tre osservazioni.
In primo luogo occorre precisare che la supposta rivoluzione avvenuta con l'introduzione delle armi rigate, rimase in gran parte solo sulla carta, per una serie di fattori di cui già si è detto altrove (2), ma soprattutto per la generale incomprensione da parte di tutti gli ufficiali e teorici militari dell'epoca delle potenzialità insite nelle nuove tecnologie. Certo si può anche osservare con un pizzico di ironia che la gittata (del tutto teorica) dei fucili rigati sembra essere cresciuta nel tempo rispetto ai 700-800 mt degli anni 70', sino a raggiungere la strabiliante e del tutto fantasiosa misura di oltre un chilometro (prestazione teorica a cui potevano ambire solo alcuni modelli di precisione inglesi, con risultati però pratici del tutto inesistenti). Ma non è questo il vero punto. La questione è che Lee non fu molto diverso da qualsiasi altro generale dell'epoca, nessuno escluso. Se come ammette lo stesso Luraghi, Grant non comprese, al pari di Lee, la schiacciante prevalenza dell'attacco sulla difesa, causata dall'introduzione dell'arma rigata (Luraghi, p. 152), come poi possa definirsi l'ufficiale unionista "il primo generale moderno" (tale è il titolo del saggio dedicato a U.S. Grant) mentre il secondo è stato l'ultimo generale napoleonico, risulta del tutto insensato.
Neppure James Longstreet (che sembra essere divenuto il vero eroe della Confederazione nella "nuova"prospettiva di Luraghi, però del tutto mitica) comprese mai quest'aspetto per quanto l'Autore si affanni a sostenere il contrario (p. 103). Ma allo storico piemontese dev'essere sfuggito totalmente, evidentemente, l'uso delle fonti: come ben dimostrato dall'importante lettera scritta a Lafayette McLaws nel maggio 1873, costui non aveva affatto capito il vantaggio della difesa sull'attacco, ma avrebbe semplicemente prospettato a Lee di condurre una campagna tattica difensiva una volta invaso i Nord nel 1863 in modo da arrivare da infliggere una nuova Fredericksburg, suo modello ideale di battaglia, al Nord. In breve non era tanto un adeguato comportamento tattico generale ch'egli aveva compreso, quanto piuttosto l'idea che ogni generale unionista sarebbe stato così folle da attaccare frontalmente e ripetutamente una posizione naturale fortissima (3).
Il secondo aspetto su cui si deve muovere le più ampie riserve è la tesi secondo cui il difensore sarebbe stato avvantaggiato rispetto al difensore sino al punto da determinare ex ante l'esito dello scontro. Una prospettiva non nuova in Luraghi ma ch'egli ora deriva dalla pubblicazione nel 1982 del saggio, scritto a quattro mani, Attack and Die(4). A corredo della loro tesi, gli autori produssero un gran numero di tabelle che avrebbero dimostrato come, sul piano tattico, l’attaccante uscisse di fatto sconfitto o comunque non riuscisse a realizzare alcun reale vantaggio (5).
Tale tesi è oggi tuttavia largamente respinta.
Un’attenta analisi delle cifre fornite nel saggio di Jamieson e McWhiney (relative a dodici tra le maggiori battaglie combattute nella guerra civile americana tra il 1861 e il 1863), dimostra come il quadro, sia molto più complesso . Se, infatti, si estende il numero di battaglie relative al medesimo periodo sino a trenta e si escludono gli scontri terminati con l’arresa di guarnigioni (Port Hudson, Fort Donelson, Harper’s Ferry e Vicksburg che sono dovute ad errori strategici più che il frutto di scontri tattici) il risultati sembra mutare significativamente; in primo luogo, la leggenda di un esercito sudista lanciato in continue offensive ne esce ampiamente ridimensionata: una più ampia analisi evidenzia che solo in tredici di questi scontri i meridionali assunsero l’offensiva; quanto al numero di perdite (tra morti, feriti e dispersi) esse furono superiori in termini assoluti tra gli unionisti e percentualmente (ossia, calcolato sugli uomini presenti) quasi in parità, con un leggero vantaggio a favore dei settentrionali . Il numero percentualmente maggiore di perdite tra i meridionali è, quindi, piuttosto il risultato della superiorità numerica unionista (ad un numero maggiore di soldati corrisponde una superiore forza distruttiva) e dell’estensione del raggio d’azione delle armi rigate (che rende possibile la partecipazione di un numero maggiore di combattenti), più che del tipo di tattica prescelta . In conclusione, indipendentemente dal potere distruttivo sprigionato dalle nuove tecnologie, l’uso della manovra sur la derriére o l’attacco sul fianco (ovvero sui fianchi) avrebbe continuato a dimostrare la potenziale superiorità dell’attacco sulla difesa, se ben eseguito: e in ciò Lee fu un vero e proprio maestro.
Eh sì, perchè occorre smentire nel modo più categorico che Lee, come modus operandi sul piano tattico, secondo il quadro delineato da Luraghi (il quale sorvola ampiamente sul periodo di comando 1862-63 per concentrare la propria attenzione su Gettysburg, come si dirà) si sarebbe distinto per attacchi alla baionetta in stile napoleonico: pura leggenda. Di fatto Lee pianificò ed eseguì due soli attacchi in questo modo: a Malvern Hill e il terzo giorno della battaglia di Gettysburg. Tralasciando la complessa questione dei reali piani operativi di Lee circa questi due episodi (questione assai complessa che richiederebbe uno studio a parte) se tale dovesse essere il paramentro di ricerca e confronto, dovremmo concludere che U.S. Grant (e in misura minore Longstreet e Sherman, come dimostrato da Knoxville e da Kennesaw Mountain) era legato a tale schema in modo ancor più evidente: tali essendo, l'attacco frontale a Vicksburg, l'assalto a Spotsylvania del 18 maggio 1864 e quello di Cold Harbor del 3 giugno 1864. Offensive che si risolsero in altrettanti sanguinosi fallimenti : in numero di morti e feriti complessivamente non inferiori a quelli di Lee. Se v'è una circostanza in cui, al contrario di quanto Luraghi sostiene, Lee eccelse, fu proprio sul piano offensivo - ed eccelse al punto da divenire fonte di terrore per il nemico - mediante attacchi condotti sul fianco con risultati eccellenti (in parte Gaine's Mill che fu anche l'esempio di come un attacco frontale potesse riuscire, Glendale, Savage station, Seconda Manassas, Chancellorsville, 1° e 2° luglio a Gettysburg, Wilderness per ben due volte, Harris Farm, Ox Hill) (Cool

Infine e soprattuto è da smentire la leggenda, raccolta a piene mani da Luraghi, di un Lee alla ricerca di una battaglia decisiva in stile napoleonico. Per quanto indubbiamente Lee per temperamento e formazione dottrinale, giudicasse che l'assunzione dell'offensiva sia sul piano strategico che tattico fosse quanto mai auspicabile e comportasse vantaggi, egli non si illuse mai di poter vincere manu militari il Nord. Tantomeno mediante una battaglia campale. Se è vero che Lee fu influenzato profondamente sul piano operazionale da Napoleone (e non si capisce neppure perchè non avrebbe dovuto esserne influenzato, vista l'assoluta genialità e modernità del pensiero del condottiero corso) è pur vero che ciò avvenne esclusivamente sul piano della manovra strategico-tattica, mediante divisione delle forze e ricongiungimento sul campo di battaglia per dividere e imbarazzare un nemico superiore in forze (Antietam, Gettysburg) della ricerca della famosa posizione centrale per concentrare sul lato debole del nemico la maggioranza delle forze (seconda Manassas e Chancellorsville) e infine per mezzo della manovra sur le derrière. Ma, si ripete, che Lee fosse alla ricerca della battaglia decisiva con cui distruggere il nemico, appartiene al dominio del mito: perchè quando si viene sostenendo una tesi occorre anche saper citare le fonti e nel saggio di Luraghi non ve n'è neppure una, se non vaghi riferimenti a letteratura secondaria. Au contraire, tutta la corrispondenza e la documentazione ufficiale dimostrano che era ferma convinzione di Lee che per mezzo della battaglia ( o meglio per mezzo di numerose vittorie conseguite sul campo) a lungo andare il nemico si sarebbe demoralizzato per le gravi perdite subite (ricordiamo che Lee ne inflisse al Nord un numero quasi doppio) sino ad arrendersi all'evidenza: e cioè che la Confederazione non poteva essere vinta.



(2) [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
(3) Significativamente Luraghi trascura tale documento capitale. Per esso e una compiuta analisi, cfr. "Gettysburg Magazine" nr. 23.
(4) G. McWhiney & P.D. Jamieson, Attack and Die: Civil War Military Tactics and the Southern Heritage, Tuscaloosa, AL: University of Alabama Press, 1982,
(5) Si veda G. McWhiney & P.D. Jamieson, Attack and Die: Civil War Military Tactics and the Southern Heritage, cit, tabella 1, p.8. Nelle dodici battaglie in esame (Shiloh, Fair Oaks, Seven Days, Second Manassas, Sharpsburg, Perryville, Fredericksburg, Murfreesboro, Chancellorsville, Vicksburg, Gettysburg, Chickamauga) i confederati assunsero l’iniziativa tattica in sette, in tre essa fu presa dagli unionisti, in due vi fu iniziativa da ambo le parti. Le complessive perdite confederate sono computate a 152.841 su 622.265 uomini schierati pari al 24.6%; quelle federali sono calcolate in 113.160 uomini su 809.456 presenti pari al 13.6%. Le cifre fornite, indipendentemente da ciò che si dirà, sono estratte dall’opera del Livermore più volte citata, che non sono però del tutto esatte, essendo sbilanciate a favore degli unionisti.
(6) Cfr. R.E. Beringer et alii, Why the South Lost the Civil War, Athens Georgia :University of Georgia Press, 1986 pp. 458-465 e relative tabelle. Nelle trenta battaglie in analisi, i confederate persero 172.380 uomini su 894.595 presenti pari al 19.3%; gli unionisti 183.221 su 1.146.206 pari al 16%.
(7) Ibidem p. 469 ss.
(Cool Cfr ad es. J. L. Harsh, Confederate Tide Rising. Robert E Lee and the Making of Southern Strategy, 1861-1862, Kent, OH: The Kent State University Press, 1998, un aureo libretto che richiederebbe maggiore attenzione.

(3.-CONTINUA)
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Messaggio  John Buford Dom 24 Mar 2013 - 20:00

Banshee ha scritto:
Infine e soprattuto è da smentire la leggenda, raccolta a piene mani da Luraghi, di un Lee alla ricerca di una battaglia decisiva in stile napoleonico. Per quanto indubbiamente Lee per temperamento e formazione dottrinale, giudicasse che l'assunzione dell'offensiva sia sul piano strategico che tattico fosse quanto mai auspicabile e comportasse vantaggi, egli non si illuse mai di poter vincere manu militari il Nord. Tantomeno mediante una battaglia campale. Se è vero che Lee fu influenzato profondamente sul piano operazionale da Napoleone (e non si capisce neppure perchè non avrebbe dovuto esserne influenzato, vista l'assoluta genialità e modernità del pensiero del condottiero corso) è pur vero che ciò avvenne esclusivamente sul piano della manovra strategico-tattica, mediante divisione delle forze e ricongiungimento sul campo di battaglia per dividere e imbarazzare un nemico superiore in forze (Antietam, Gettysburg) della ricerca della famosa posizione centrale per concentrare sul lato debole del nemico la maggioranza delle forze (seconda Manassas e Chancellorsville) e infine per mezzo della manovra sur le derrière. Ma, si ripete, che Lee fosse alla ricerca della battaglia decisiva con cui distruggere il nemico, appartiene al dominio del mito: perchè quando si viene sostenendo una tesi occorre anche saper citare le fonti e nel saggio di Luraghi non ve n'è neppure una, se non vaghi riferimenti a letteratura secondaria. Au contraire, tutta la corrispondenza e la documentazione ufficiale dimostrano che era ferma convinzione di Lee che per mezzo della battaglia ( o meglio per mezzo di numerose vittorie conseguite sul campo) a lungo andare il nemico si sarebbe demoralizzato per le gravi perdite subite (ricordiamo che Lee ne inflisse al Nord un numero quasi doppio) sino ad arrendersi all'evidenza: e cioè che la Confederazione non poteva essere vinta.

Illustre Banshee, lei afferma forse che Lee stava pensando ad una sorta di "battaglia di materiali", costringere il nemico ad arrivare al punto di rottura (politico) attraverso battaglie defatiganti per i Nordisti? Era questa dunque la sua "grande strategia"?
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Messaggio  Banshee Dom 24 Mar 2013 - 22:47

John Buford ha scritto:
Banshee ha scritto:
Infine e soprattuto è da smentire la leggenda, raccolta a piene mani da Luraghi, di un Lee alla ricerca di una battaglia decisiva in stile napoleonico. Per quanto indubbiamente Lee per temperamento e formazione dottrinale, giudicasse che l'assunzione dell'offensiva sia sul piano strategico che tattico fosse quanto mai auspicabile e comportasse vantaggi, egli non si illuse mai di poter vincere manu militari il Nord. Tantomeno mediante una battaglia campale. Se è vero che Lee fu influenzato profondamente sul piano operazionale da Napoleone (e non si capisce neppure perchè non avrebbe dovuto esserne influenzato, vista l'assoluta genialità e modernità del pensiero del condottiero corso) è pur vero che ciò avvenne esclusivamente sul piano della manovra strategico-tattica, mediante divisione delle forze e ricongiungimento sul campo di battaglia per dividere e imbarazzare un nemico superiore in forze (Antietam, Gettysburg) della ricerca della famosa posizione centrale per concentrare sul lato debole del nemico la maggioranza delle forze (seconda Manassas e Chancellorsville) e infine per mezzo della manovra sur le derrière. Ma, si ripete, che Lee fosse alla ricerca della battaglia decisiva con cui distruggere il nemico, appartiene al dominio del mito: perchè quando si viene sostenendo una tesi occorre anche saper citare le fonti e nel saggio di Luraghi non ve n'è neppure una, se non vaghi riferimenti a letteratura secondaria. Au contraire, tutta la corrispondenza e la documentazione ufficiale dimostrano che era ferma convinzione di Lee che per mezzo della battaglia ( o meglio per mezzo di numerose vittorie conseguite sul campo) a lungo andare il nemico si sarebbe demoralizzato per le gravi perdite subite (ricordiamo che Lee ne inflisse al Nord un numero quasi doppio) sino ad arrendersi all'evidenza: e cioè che la Confederazione non poteva essere vinta.

Illustre Banshee, lei afferma forse che Lee stava pensando ad una sorta di "battaglia di materiali", costringere il nemico ad arrivare al punto di rottura (politico) attraverso battaglie defatiganti per i Nordisti? Era questa dunque la sua "grande strategia"?

Una battaglia di morali e di volontà più che di materiali, sì. Sino a condurre la popolazione del Nord a chiedere la pace. E questa concezione, che a me pare modernissima (anzi la più clausewitziana possibile) fu espressa da Lee proprio nella documentazione disponibile nella primavera-estate 1863.

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Messaggio  Banshee Lun 25 Mar 2013 - 11:01

Tuttavia, non tutto nell'operato tattico di Lee sembra essere censurabile, per Luraghi. Allorquando egli assunse una postura difensiva, come accadde nella campagna peninsulare del 1864, Lee avrebbe dato il meglio di sé, proprio perchè in quell'occasione non solo si ridusse sulla difensiva sfruttando i vantaggi dati dalla prevalenza della difesa sull'attacco, ma comprese (finalmente! ma "troppo tardi", Luraghi pp.96, 115-116) l'importanza della fortificazione campale e degli appigli offerti dal terreno per fronteggiare l'offensiva settentrionale. Che Lee abbia condotto una campagna magistrale contro il miglior generale di cui disponesse il Nord, ci pare ovvio: ma proprio l'esito ultimo, dimostra la fallacia alla base del ragionamento di Luraghi. Gli è che per quanto Lee abbia potuto infliggere dure perdite a Grant, costui in un mese e mezzo riuscì ad arrivare a Richmond trasformando quella che sembrava una serie di sanguinose sconfitte in una vittoria strategica certa, per quanto ci volesse poi quasi un anno per raccoglierne i frutti. Questo proprio perchè Grant fu costantamente all'offensiva: a dimostrazione che l'idea stessa della difensiva come tattica vincente era ed è del tutto falsa. E Lee aveva già previsto l'esito con mesi di anticipo. In breve bastò all'Unione trovare un generale determinato (oltreché estremamente abile, sia chiaro) per vincere il nemico: si pensi solo alla differenza tra Hooker e Grant dopo gli scontri di Chancellorsville e Wilderness. Entrambi riportarono una sconfitta tattica:e anzi a conti fatti, Wilderness fu anche peggiore. Eppure Grant non si fece per nulla influenzare:da buon matematico della guerra sapeva che le sue perdite sarebbero state rimpiazzate e a lungo andare la guerra dei numeri lo avrebbe fatt vincere. Ciò non significa che egli facesse conto sulla forza bruta e attaccasse a testa bassa:tutt'altro. La sua campagna fu davvero un capolavoro, basato sul movimento e sull'aggressività: esattamente gli stessi elementi che guidarono Lee nel periodo 1862-63. E allora non si comprende come poi si possa giungere a definire l'uno, Grant, il primo generale moderno e il secondo, Lee, una sorta di vecchio gentiluomo del Sud che non capiva nulla di industria e tecnologia e che perseguiva, proprio perchè votato all'offensiva, come un forsennato, la chimera di una battaglia decisiva modello Austerlitz o Waterloo (si noterà l'assenza di qualsiasi fonte che dimostri tale bizzarra tesi). Gli è, al contrario che proprio tale vicenda dimostra l'esistenza di un dato di fatto alla base dell'intera vicenda bellica che Luraghi tende a negare costantemente, ma che in sostanza ultima è alla radice dell'esito ultimo del conflitto e spiega perfettamente il perchè delle scelte operate da Lee. Vale a dire la schiacciante differenza nei numeri tra le due sezioni. Una tesi che Luraghi continua a respingere come falsa e opera, a suo dire, della mistificante propaganda della Lost Cause, di cui persino Lee si sarebbe fatto epigono dopo la guerra (pp. 68, 124). Sarà. Intanto annotiamo che Luraghi, erra pure nelle cifre visto che attribuisce al Nord 18 milioni di uomini invece di 20 (p.124) una tendenza alla sottovalutazione nella disparità di forze già presente nell'opera del 1966, in cui si affermava del tutto fantasiosamente, per bilanciare l'imbalanciabile, che la Confederazione schierò complessivamente la cifra di 1.500.000 uomini (!), a fronte della stima massima concordemente elaborata dagli storici di 950.000 soldati. Peggio ancora, ricorre alla vieta formuletta clausewitziana secondo cui per garantire una vittoria certa l'attaccante dovrebbe garantirsi una superiorità di 3 a 1 (p.68) dimenticando però che alla base del ragionamento del teorico prussiano, v'è una elaborazione teorica che riguarda la singola campagna e che se anche i settentrionali non disposero du tale superiorità, ebbero quasi sempre il vantaggio di combattere in un rapporto di 2 a 1 sul nemico: e proprio all'Est (mentre all'Ovest tale condizione fu raggiunta solo molto tardi), in Virginia (2 Manassas Antietam, Chancellorsville e lungo tutto il periodo 1864-65) mentre avevano alle spalle un bacino di uomini che avrebbe garantito uncostante e inesauribile rimpiazzo per le perdite.Insomma se non la certezza, una buona probabilità. Perchè poi diviene inutile discettare di questo o quello, se non si parte da tale dato di fatto: se Grant fosse stato al posto di Lee e avesse subito 55.000 perdite nel periodo 5maggio-12giugno 1864, la guerra sarebbe finita con ogni probabilità un anno prima. E tale differenza dei numeri spiega perchè Lee avesse bisogno di colpire il Nord sul suo solo nel 1863, senza attendere: alla lunga, l'esito sarebbe stato la sconfitta del Sud.

(4.-CONTINUA)
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Messaggio  Generale Meade Lun 25 Mar 2013 - 15:33

Banshee ha scritto: ...Che Lee abbia condotto una campagna magistrale contro il miglior generale di cui disponesse il Nord, ci pare ovvio: ma proprio l'esito ultimo, dimostra la fallacia alla base del ragionamento di Luraghi. Gli è che per quanto Lee abbia potuto infliggere dure perdite a Grant, costui in un mese e mezzo riuscì ad arrivare a Richmond trasformando quella che sembrava una serie di sanguinose sconfitte in una vittoria strategica certa, per quanto ci volesse poi quasi un anno per raccoglierne i frutti. Questo proprio perchè Grant fu costantamente all'offensiva: a dimostrazione che l'idea stessa della difensiva come tattica vincente era ed è del tutto falsa.

(4.-CONTINUA)

Come è possibile dimostrare che Lee abbia condotto una "campagna magistrale" contro Grant difendendo miglio dopo miglio il territorio della Virginia mi pare solo un assurdo paradosso. Delle due una. O : "... costui (Grant) in un mese e mezzo riuscì ad arrivare a Richmond trasformando quella che sembrava una serie di sanguinose sconfitte in una vittoria strategica certa...". Oppure: "...per quanto ci volesse poi quasi un anno per raccoglierne i frutti". Non è chiaro altrimenti se la tattica difensiva era valida o meno, pur resistendo quasi un anno. Lo stesso discorso d'altronde si potrebbe paragonare col fronte ovest: se Johnston, Hardee, il defunto Cleburne o chi per loro, al posto di Hood, avessero fatto aspettare Sherman davanti ad Atlanta per 6 mesi o un anno "...per raccoglierne i frutti", come sarebbe finita la ACW?

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Messaggio  Banshee Lun 25 Mar 2013 - 16:32

Il problema, è che una volta persa l'iniziativa e portato davanti a Richmond,pur avendo condotto una campagna magistrale sulla difensiva, contestando metro per metro il terreno, scatenando controffensive ogni volta che potesse e infliggendo un mero di perdite quasi doppio rispetto a quelle subite, Lee aveva perso ogni prospettiva strategica diversa da quella della speranza di un errore dell'avversario. Grant non ne commise: certo se avesse inziato ad investire frontalmente le linee trincerate di Petersburg/Richmond, dai e dai avrebbe finito con il dissanguarsi. Ma Grant condusse un mirabile serie di manovre per tagliare fuori mano a mano Lee dalle linee di rifornimento. L'esito era già segnato, dunque,a meno che Grant non fosse incorso in clamorosi errori, lo si ribadisce. Il che dimostra che non era questione di strategia/tattica offensiva o difensiva, quanto piuttosto di numeri e di saper condurre le azioni offensive o difensive che fossero, con sagacia. Quanto all'Ovest, non è mia intenzione - quantomeno per il momento - entrare nel merito della questione, visto l'argomento.Mi limito ad annotare che se a Sherman fosse stato riservato lo stesso trattamento che ebbe Grant fino all'attraversamento del James, forse le cose sarebbero potute cambiare. Ciò che Johnston non riuscì a fare, di fatto, mai. Non sappiamo come avrebbe reagito Sherman, in altre parole, dopo una sconfitta dell'ampiezza di quella subita a Wilderness da Grant. Forse sarebbe andato avanti, forse si sarebbe demoralizzato. E' un interrogativo che resterà.

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Messaggio  R.E.Lee Lun 25 Mar 2013 - 21:28

Ragazzi! In questo Topic si recensisce il Libro del Professore, ci si scambiano impressioni in merito all'opera e stop!
Chi ha intenzione di commentare le gesta della recensione di Banshee od altri "in diretta" (il generale Lee/la campagna di Grant nel 1864 in questo momento...) , è pregato di quotare e postare le sue impressioni/questioni nel/i topic appositi.

Grazie
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Messaggio  Banshee Mar 26 Mar 2013 - 11:24

Ma le lacune di Lee, a dire di Luraghi non si esauriscono nella mancata comprensione dell'utilità di una condotta difensiva. Nell'esaminare la sua azione sul piano operativo, lo storico italiano delinea per il capo militare tre compiti essenziali: 1) la formulazione del corretto piano operativo; 2) la scelta dei quadri; 3) il controllo dell'esecuzione del piano operativo (p. 94). Del primo punto già si è detto. Quanto al secondo, di fatto nessun merito sembra in sostanza poter essere attribuito a Lee, giacché a dire di Luraghi, egli fu agevolato dal fatto che la tradizione militare era più forte nel Meridione che nel Nord: di qui la supposta esistenza di un nucleo da cui trarre con facilità gli ufficiali di livello di comando medio-alto (p.97). Il ragionamento è a dir poco sbrigativo e avrebbe meritato ben altra profondità di analisi. Gli è che, dopo la morte di Jackson (1863) Lee si trovò a dover fare i conti con una serie di personaggi che mostrarono quanto falsa fosse la credenza del Sud come fucina inesauribile di talentuosi ufficiali. E la situazione peggiorò ulteriormente dopo il ferimento di Longstreet a Wilderness. A livello di corpo d'armata tra l'inetto e indeciso Ewell (che non a caso fu presto spedito a non far danni lontano dall’ANV, a smentire l’idea di un Lee inabile a rimuovere i propri subordinati), il sobrio R. H. Anderson (ma totalmente incapace di iniziative brillanti ed autonome) e l'audace A. P. Hill (però minato nel fisico dai postumi di un malattia venerea contratta in gioventù e al quale occorse quasi un anno per padroneggiare il comando di corpo d’armata) c'era poco da stare allegri. Anche qui Luraghi, come in passato, pare poco consono alla critica e all’analisi: chiunque ne abbia letto le opere, sa bene che a parte alcune eccezioni, per lo storico italiano gli ufficiali e comandanti della guerra civile erano tutti “abili” (un aggettivo qualificativo che nella presente opera ricorre un po’ ossessivamente e indistintamente per tutti, con le note eccezioni relative a McClellan, Pope, Burnside e, nel campo confederato, con riferimento a Hood). Ad ogni modo, come reagì Lee, a tale situazione? Caricando su di sé gran parte di quelle responsabilità ch'egli aveva delegato nel felice periodo del tandem Jackson-Longstreet ed esercitando un controllo più stretto in prima linea delle unità (10). Ma non basta: per quanto occorra precisare che Lee non poteva elevare di grado neppure un caporale (perché, per quanto incredibile possa apparire, questa era la realtà dei fatti, in base alla rigida legislazione vigente all'epoca) egli non mancò di notare l'emergere di giovani talentuosi come Gordon, Kershaw, Ramseur, Hoke, Mahone, Rodes che raccomandò per le dovute promozioni. Quando anche JEB Stuart venne a mancare, Lee lo sostituì con Wade Hampton , un ottimo ufficiale, che tra I’altro non era militare di professione: a mostrare che il condottiero sudista non era condizionato da facili pregiudizi. Il che pare già costituire qualcosa di diverso dall'alquanto sommaria analisi di Luraghi. Quanto al contegno tenuto nei confronti dei suoi subordinati, è indiscutibilmente vero che Lee, come afferma l'Autore, adottò una politica del laissez-faire: una volta delineato il piano operativo nelle sue linee essenziali, Lee tendeva a lasciarne l'esecuzione pratica ai suoi subordinati, limitandosi spesso a controllarne l’esecuzione senza interferire. Il che fu certamente un difetto. Ma anche qui occorre precisare che fino a quando il binomio Longstreet-Jackson fu in grado di operare, la fiducia era ben riposta e i risultati non mancarono di certo. Dopo Wilderness, come detto più sopra, il modus operandi del generale confederato cambiò notevolmente: sicché il quadro sembra un pò più complesso di quel che si vorrebbe far credere e mostra che Lee si rese presto conto della necessità di dover controllare direttamente l’esecuzione dei propri piani operativi. A ciò si aggiunga, secondo Luraghi, che Lee aveva la tendenza a non redigere per iscritto i propri ordini e che questi erano spesso vaghi e, infine, che il generale confederato non disponeva di uno stato maggiore efficiente. Quanto all’assenza di ordini scritti, va però notato come non ci paia che Lee si comportasse in modo molto diverso dai comandanti dell’epoca di ambo le parti. Grant stesso, fino a quando si trovò ad operare ad Ovest con ufficiali e subordinati che conosceva personalmente, non tendeva ad esercitare un controllo stretto su di essi, mentre nel corso della campagna peninsulare dovette giocoforza mutare stile di comando: e non sempre con risultati apprezzabili, come ha mostrato ottimamente lo storico Gordon C. Rhea nelle sue opere dedicate alla campagna peninsulare. Perché in definitiva hai voglia a scrivere un ordine: ma se poi l’ufficiale incaricato non lo esegue, c’è poco da fare (si veda ad es. il noto ordine scritto di Lee dato a Ewell di occupare le alture di Gettysburg, che però non fu eseguito) Circa l’assenza di uno stato maggiore efficiente, anche in questo caso Lee si trovava a dover fare i conti con la tradizione militare americana che prevedeva organici estremamente ridotti per gli ufficiali di staff. A differenza del modello europeo e in special modo del periodo napoleonico, infatti, non esisteva alcuna “specializzazione” né corso per formare ufficiali di stato maggiore, mentre la legislazione in materia, pensata per lo smilzo esercito americano, la quale prevedeva precisi limiti al numero e alle funzioni di essi, appariva incredibilmente arretrata per le esigenze di una guerra con eserciti che superavano le 50.000 unità. A titolo di comparazione si pensi che un corpo d’armata francese (20.000 uomini in media) di epoca napoleonica, contava non meno di 50 ufficiali di stato maggiore: cioè un numero cinque volte superiore a quello previsto dalla legislazione confederata per un’armata. Anche in questo caso Luraghi difetta di un’analisi personale ed approfondita, rifacendosi alla critica tradizionale storica e ignorando completamente i più recenti lavori in tema (11). I quali hanno mostrato come Lee più volte intervenne presso il governo centrale per ottenere un ampliamento nell’organico dello stato maggiore, nuovi ruoli e la creazione di un corpo professionale. Sforzi che si rivelarono di fatto inutili, giacché in sostanza nulla mutò: né del resto gli unionisti stavano molto meglio. E per quello che disponeva egli fece del suo meglio, selezionando gli ufficiali più abili e invertendo la tendenza ad accomodare presso lo stato maggiore parenti ed amici, secondo un costume purtroppo assai diffuso.
Né si può dire che il ritratto di Lee esca molto meglio, allorquando si passa ad esaminare ciò che scrive Luraghi in merito alla “grande” strategia (o strategia nazionale) del comandante confederato: o meglio alla (supposta) assenza di una qualsiasi strategia in tal senso da parte del condottiero confederato. Qui le censure mosse sono sostanzialmente due (pp. 93-94). Da un parte Lee si sarebbe rifiutato di occuparsi di altri fronti, interessandosi di fatto solo della Virginia. Per un altro verso, egli si sarebbe disinteressato di ogni aspetto politico del conflitto. Nulla di più falso. In primo luogo, come peraltro riconosce lo stesso Autore, occorre ricordare che il Presidente Davis accentrò su di sé la carica di comandante in capo della Confederazione, senza nominare alcun militare alla stessa: e ciò a differenza dell’Unione. Sicché Lee, che assunse tale funzione solo nel febbraio del 1865, non si capisce bene cosa avrebbe dovuto fare di diverso da ciò che fece: combattere e combattere, aggiungiamo noi, assai bene. A dimostrazione della tardività del provvedimento e a smentita dell’interpretazione di Luraghi, peraltro, una volta divenuto comandante supremo, fu proprio grazie a lui e alle sue ripetute richieste, che il restio Johnston fu costretto, finalmente, a passare all’azione, attaccando battaglia a Bentonville. Secondariamente, Lee era convinto con ogni ragione che il miglior contributo che si potesse dare alla strategia nazionale, fosse quello di sconfiggere i settentrionali in Virginia. Perché, a torto o a ragione, quello era a tutti gli effetti il principale teatro di operazioni: oggi si può discutere all’infinito se fosse più importante il fronte occidentale o quello orientale sotto un profilo strategico, ma sta di fatto che all’epoca tutti gli occhi erano puntati sulla Virginia; tant’è che persino gli osservatori e diplomatici stranieri sembravano scuotersi solo alla notizia delle imprese dell’Armata della Virginia Settentrionale (ricordiamo che Gran Bretagna e Francia sembrarono sul punto di riconoscere la Confederazione proprio a seguito dell’invasione del Maryland e della Pennsylvania da parte di Lee) e la stessa opinione pubblica aveva identificato in Lee e nel suo esercito l’unica speranza di indipendenza, stringendosi intorno ad essa come un solo popolo; non è certo un caso che Grant, una volta nominato comandante in capo preferì condurre le operazioni in Virginia. E se Lee avesse ripetutamente sconfitto i settentrionali su quel fronte, portandosi alle soglie di Washington o altri importanti centri urbani settentrionali, è molto probabile che la guerra sarebbe finita. Terzo, se Lee, a differenza di altri sciagurati personaggi (leggi il generale confederato Johnston) non si impegolò mai in questioni strettamente politiche, preferendo non assumere contegni pro o contro questa e quell’altra fazione politica (il che gli fa onore), non per questo non ebbe una visione “politica” e “nazionale”del conflitto. Anzi. Diremmo che fu l’unico a sollecitare il governo a ricorrere a misure anche estreme, come l’ampliamento nei termini della coscrizione, la nazionalizzazione dell’economia, la sua riconversione a scopi esclusivamente bellici. Nei confronti dei fautori dei diritti locali degli Stati, fu assolutamente irremovibile: si lasciassero da parte beghe e richieste assurde per concentrarsi sulle necessità della Confederazione. Così, quando, ad esempio, nel 1862 il governatore del North Carolina Clark, richiese truppe a disposizione per lo Stato, Lee lo convinse a subordinare ogni esigenza ai teatri di guerra principali. Senza scordare che Lee si schierò a favore della liberazione della popolazione negra schiava, per esigenze militari , anteponendo ogni sua personale convinzione in materia al bene supremo della nazione Confederata: e anzi fu il fattore principale che portò all’adozione del provvedimento di reclutamento degli afroamericani nelle file sudiste. In quart’ordine, fu solo grazie a Lee che il morale della popolazione confederata si rialzò dopo le cocenti sconfitte del periodo 1861-8: al punto che l’intera nazione guardava a lui con fiducia; e senza morale, senza volontà di combattere, com’egli scrisse (altro che condottiero privo di visione nazionale!!) da parte della popolazione, la causa meridionale sarebbe stata sconfitta dopo breve tempo (12). Certo, non propose mai una strategia globale per gli altri teatri di fronte: ma cosa avrebbe dovuto proporre a fronte allo spettacolo desolante di un’Armata del Tennessee che sembrava più un insieme di comari pettegole e litigiose che un gruppo di “abili” ufficiali e che veniva sonoramente e ripetutamente bastonata dagli unionisti? Certo, Lee entrò in guerra con la convinzione di dover combattere per la Virginia e molto più marginalmente per il Sud. Ma con il trascorrere del tempo egli divenne un acceso nazionalista che credeva ciecamente nella causa della Confederazione, come ampiamente dimostrato dalla sua corrispondenza.




(10) Cfr. i saggi di G.W. Gallagher in ID. (a cura di) The Wilderness Campaign, Chapel Hill: NC university press, 1997 e ID. (a cura di) The Spotsylvania Campaign, Chapel Hill: NC university press, 1999.
(11) cfr. J. Boone Bartholomees Jr., Buff Facings and Gilt Buttons. Staff and Headquarters Operations in the Army of Northern Virginia, 1861-1865, Columbia, SC: University of South Carolina Press, 1998; R.E.L. Krick , Staff Officers in Gray: A Biographical Register of the Staff Officers in the Army of Northern Virginia. Chapel Hill: NC university press, 2003; ma soprattutto l’eccellente saggio di R.E.L. Krick “The Great Tycoon” in Peter S. Carmichael ( cura di) "Audacity Personified: The Generalship of Robert E. Lee, Baton Rouge: Louisiana State University Press, 2004
(12) Su tutto vedi ampiamente G.W.Gallagher The Confederate War, Harvard MA: Oxford University Press, 1998.


(5.-CONTINUA)
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Messaggio  Generale Meade Mar 26 Mar 2013 - 12:26

Banshee ha scritto:...Certo, non propose mai una strategia globale per gli altri teatri di fronte: ma cosa avrebbe dovuto proporre a fronte allo spettacolo desolante di un’Armata del Tennessee che sembrava più un insieme di comari pettegole e litigiose che un gruppo di “abili” ufficiali e che veniva sonoramente e ripetutamente bastonata dagli unionisti? Certo, Lee entrò in guerra con la convinzione di dover combattere per la Virginia e molto più marginalmente per il Sud. Ma con il trascorrere del tempo egli divenne un acceso nazionalista che credeva ciecamente nella causa della Confederazione, come ampiamente dimostrato dalla sua corrispondenza.

(5.-CONTINUA)

Non sono d'accordo a mettere nel calderone di "abili" ufficiali, ottimi condottieri che operarono nel fronte ovest come Cleburne o Forrest, anche se ve ne furono altri più modesti, come Cheatham, Hardee o lo stesso Johnston, che per quanto uno ne pensi, fecero il loro dovere sino in fondo. A parte ciò, bisognerebbe citare il fatto che Vicksburg fu abbandonata al suo destino da Lee perchè quest'ultimo dichiarò che doveva fronteggiare ben 160.000 uomini della AdP (ricorda tanto il McClellan della Campagna Peninsulare) mentre invece poi prese a invadere il Nord con "soli" 80.000 uomini. Ma come, il fronte della Virginia era più in pericolo di quello del Mississippi, come da lui stesso scritto e approvato da Davis, e poi prendi e parti all'avventura contro un esercito il doppio del tuo?
Come giustamente scritto: "Lee entrò in guerra con la convinzione di dover combattere per la Virginia e molto più marginalmente per il Sud", e, a pare mio, di tale convinzione rimase sino all'ultimo. Lo dimostrò anche durante la resa a Appomattox, rifiutando di continuare la lotta con la guerriglia mentre vi erano ancora eserciti confederati operativi. Arrendendosi portò di fatto la Confederazione alla resa, cosa che un "acceso nazionalista che credeva ciecamente nella causa della Confederazione" avrebbe senza dubbio rifiutato di fare. Quando vide che per la Virginia non vi era più speranza, decise che era finito il tempo di combattere. Per tutti.

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Messaggio  Banshee Mar 26 Mar 2013 - 12:56

Sulle tre questioni:
1) Non dubito esistessero ottimi ufficiali anche nell'AoT. Anzi ve n'erano di ottimi, tutti onesti e ligi. Sfortunatamente però le beccavano sempre e si riducevano a litigare tra loro. Fatto.
2) Esattamente per il motivo sopra indicato, Lee era perplesso all'idea di mandare uomini ad Ovest, ammesso che potessero giungere in tempo (del che vi sono dubbi). E aveva tutte le ragioni: affidati ad un Pemberton o a Johnston, sarebbero stati catturati o avrebbero assistito al nulla (questione che vedremo meglio poi). Fatto.
3) Lee si arrese perchè non aveva di che sfamare l'esercito. Una volta preso atto di quello e del fatto che era in inferiorità numerica di 4 a 1, c'era poco da fare. Il suo fervente nazionalismo emerge chiaramente dalla documentazione a disposizione di tutti (leggi anche Gallagher, ottimo sul tema). Fatto.

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Messaggio  Homo Universalis Mer 27 Mar 2013 - 12:45

Generale Banshee è corretto per un'altra volta! Ho alcune osservazioni circa le affermazioni 2 e 3.
2) Lee non ha voluto inviare uomini in Occidente perché era organizzare e pianificare la campagna di Gettysburg. Ha avuto il tempo per alleviare Vicksburg, se muovendo rapidamente, ma pensava anche che le forze di Johnston erano sufficienti.
3) Lee si arrese perché egli era circondato e non hanno munizioni e rifornimenti. Inoltre, egli era riluttante ad essere querilla.

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Messaggio  Banshee Mer 27 Mar 2013 - 13:26

Come esempio del modo di operare di Lee e degli errori che stavano alla base della sua concezione strategica (sia operazionale che nazionale) e tattica, Luraghi si sofferma sulla campagna di Gettysburg. Occorre dire che è questa, certamente, la parte più sfortunata dell’intera opera. Tralasciando per il momento di considerare la questione della corretta strategia per la Confederazione da adottarsi nella primavera del 1863 - e cioè se invece di invadere la Pennsylvania, non fosse più sensato inviare truppe di rinforzo a Vicksburg, secondo quanto suggeriva il ministro alla difesa, Seddon probabilmente su impulso dello stesso Davis, ovvero spedire il generale Longstreet con l’intero I° corpo d’armata dell’ANV a Bragg ,o chi per lui, perché assumesse con l’AoT l’iniziativa offensiva nel Tennessee, come invece consigliavano il generale Beauregard e, seppure in modo diverso e indipendente,lo stesso Longstreet (13) - e i ragionamenti svolti sul tema da Luraghi, il ritratto che l’illustre storico offre di Lee rispetto a tale problematica, è del tutto contrario alla realtà storica. Ad iniziare dalle motivazioni che avrebbero indotto il generale virginiano, con rara miopia, a suo dire, a negare l’invio di truppe ad Ovest. Quale spiegazione offre Luraghi di questo rifiuto? Anzitutto Lee sarebbe stato convinto che il tempo lavorasse contro questa soluzione (e ciò è senz’altro vero) e, secondariamente, egli non voleva occuparsi di altri teatri di operazione che non fossero quelli virginiani: insomma il generale confederato avrebbe combattuto per la Virginia, mica per il Sud. Quest’ultimo argomento appare una pura invenzione dell’Autore, come già si è detto più sopra. Ma anzitutto occorre chiarire che la proposta di Beauregard non fu neppure valutata dall’alto comando confederato (e cioè Davis e Seddon) molto probabilmente perché neppure mai giunta a loro conoscenza, mentre la proposta di Longstreet, che differiva un poco da quella del generale Beauregard, fu esposta in due distinti colloqui: dapprima a Seddon che la rigettò senza indugio e, successivamente, a Lee stesso. Costui la discusse con il suo subordinato, il quale dovette convenire che la forza delle argomentazioni di Lee (ossia l’idea di invadere il Nord) era decisamente superiore rispetto al suo piano e approvò senza problemi la strategia del suo superiore.
In sostanza ultima, cosa discussero Davis e il governo confederato insieme a Lee nel corso dei due incontri avvenuti a Richmond nel maggio 1863? L’ idea di inviare una (o forse due) divisioni dell’ANV nel Mississippi per tentare di salvare Vicksburg e di affidarne il comando a Johnston che si trovava a Jackson. Il che già è molto diverso dal quadro che ci offre Luraghi, il quale sostiene che Lee si sarebbe rifiutato di approvare una proposta…che neppure gli fu fatta! Ma non basta. Quali furono le ragioni reali (e non supposte) che oppose Lee all’invio delle truppe? Numerose e del tutto logiche, ma inspiegabilmente taciute dall’Autore. Anzitutto la probabilità che esse arrivassero tardi: per quanto Luraghi si affanni a parlare di “linee interne” (p.101) lo stato delle tratte ferroviarie confederate nell’Ovest era tale che sarebbero occorsi come minimo due mesi per far giungere gli uomini a Jackson. Cioè a dire che anche fossero partiti il 15 maggio (data del primo meeting) sarebbero giunti troppo tardi per salvare Vicksburg, che come noto cadde il 4 luglio. Il secondo argomento di Lee fu , verbatim,“l’incertezza dell’impiego delle truppe”: una frase che esprimeva tutti i dubbi del virginiano sulle capacità degli ufficiali colà assegnati di far buon uso degli uomini a loro disposizione. Possiamo davvero credere che Johnston, rinforzato anche di 7.000 uomini (o 15.000) avrebbe mai mosso al soccorso di Pemberton con circa 40.000 uomini (o 48.000) attaccando dapprima Sherman e poi Grant, ammettendo per pura ipotesi che i rinforzi fossero giunti in tempo? La domanda è retorica: nulla nel comportamento, nell’indole e nelle convinzioni strategico-tattiche di Johnston indicava e indica che esso avrebbe mai mosso un dito per salvare Pemberton. Dunque già solo per questo, Lee non errava.
Ovvio che costui, più in generale, non volesse distogliere truppe da quello che riteneva essere, con ogni ragione, il principale teatro di operazioni della guerra: in ciò esattamente come faceva ogni comandante a cui fosse stato affidato un dipartimento o zona da difendere. Né più né meno, nessuno escluso. Perché occorre dire che mai durante la guerra civile occorse che un generale mollasse facilmente i suoi uomini: anzi ogni pretesto era utile per rifiutare. E in ciò di certo gli ufficiali dell’Ovest erano ancor più miopi, avendo a spesso a combattere contro fantasmi. Fatto sta che l’unico spostamento, nel settembre 1863, avvenne proprio a vantaggio del fronte occidentale: i risultati deludenti di tale iniziativa sono ben noti. Rimaneva, come unico e serio progetto per tentare di distogliere truppe unioniste dall’Ovest o comunque per tentare di piegare il Nord sul piano morale e indurlo a sedersi al tavolo della pace, la proposta di Lee di invadere il Nord, minacciare i principali centri urbani e costringere il nemico ad accettare battaglia in condizioni sfavorevoli, in modo da batterlo (non distruggerlo o annientarlo, cosa che Lee non ha mai sostenuto): una sconfitta, o meglio ancora, una serie di sconfitte subite dagli unionisti, sul suo stesso territorio, avrebbero avuto serie conseguenze sull’opinione pubblica e sulla popolazione settentrionale, rafforzando il partito della pace. Non solo. Lee aveva appena disfatto Hooker a Chancellorsville e l’Armata del Potomac era demoralizzata. Già, il morale. Perché al di là dei numeri, il fattore del morale delle truppe era basilare: se come riconosce lo stesso Luraghi, in una delle poche concessioni fatte a Lee, il generale confederato in pochi mesi riuscì a trasformare i suoi uomini in una macchina da guerra quasi perfetta, ciò fu dovuto principalmente al morale e al coraggio che inspirò loro, proprio grazie alla condotta offensiva tenuta nel 1862. E se il morale delle truppe, secondo una nota massima napoleonica sta ai numeri, come il 3 sta a 1 , allora non v’è dubbio che l’idea di guidare i suoi uomini al Nord, pur in disparità numerica, era più che logica. Infine, vi sono da considerare i gravi problemi logistici di cui soffriva l’ANV e che rendevano necessario operare sul territorio nemico per approvvigionarsi. Di tutto ciò, sfortunatamente, non rimane traccia nell’analisi del Luraghi: il quale afferma che “il vero obiettivo di Lee che derivava direttamente dalla sua concezione <<napoleonica>> della guerra, era di costringere il nemico minacciando i suoi centri vitali (…) a quella battaglia di annientamento la quale risolvesse la guerra in un’unica cruciale giornata. Che giocando tutto su una sola carta Lee potesse, invece della sua Austerlitz incontrare la sua Waterloo, non sembra gli sia occorso” (p.102). Un mantra ripetuto più volte dall’Autore (pp.103,104, 108, 113), ma che non per questo assume maggior valore: e quel che appare davvero grave è che a sostegno di tale tesi, Luraghi citi in nota (oltre al sostegno dello storico Emory Thomas, autore di una discussa e non troppo fortunata biografia di Lee) le memorie di Charles Marshall, Aide-de-Camp di Lee, che raccolse il pensiero del generale confederato (14). Peccato però che un lettore che avesse la curiosità di consultare tali memorie, noterebbe come non si fa cenno alcuno a fantasiose e bizzarre idee di battaglie di annientamento o risolutive come intese da Luraghi. Tesi smentita, peraltro e tra i molti, dallo storico Edwin B. Coddington nel suo fondamentale studio su Gettysburg, a parere del quale Lee “non era in cerca di una battaglia <<generale >> o campale con l’armata Unionista “ (15) .

Ciò debitamente premesso, seguiamo Luraghi nella sua narrazione della battaglia. Dopo aver riconosciuto la maestria della manovra di penetrazione nel Nord, l’Autore analizza quello che sarebbe stato il primo fondamentale errore commesso da Lee: ossia le istruzioni vaghe affidate a “Jeb” Stuart il 23 giugno 1863. Che esse fossero accordassero un certa discrezionalità al suo fidato ufficiale di cavalleria, non pare in dubbio, anche se la traduzione offerta da Luraghi di “pass around” resa in “girare attorno” si presta a qualche obiezione(Luraghi, pp.105-106); ma che l’errore di non aver saputo far attenzione e di aver trasceso la propria libertà d’azione sino al punto di dimenticarsi dello scopo principale della sua missione, ossia di funzionare da occhi e orecchie dell’armata, specie considerando che essa si trovava in territorio nemico, resti, in ultima analisi, in capo a Stuart, ci pare parimenti indubbio. Sicché attribuire una responsabilità a Lee, sembra quantomeno azzardato. Quanto alla tesi di una battaglia voluta e non d’incontro a Gettysburg, la testimonianza del generale Trimble, raccolta ciecamente da Luraghi (p. 107), è stata sempre ritenuta poco congrua con il comportamento di Lee: che costui volesse il concentramento delle truppe colà, non è in dubbio. Ma ciò fu deciso dopo che lo stesso apprese da Longstreet e dalla spia Harrison la dislocazione e il movimento delle truppe unioniste: mentre il dialogo con Trimble avvenne precedentemente. E infatti gli ordini di Lee furono impartiti dopo. Dunque Lee non voleva necessariamente scontrarsi a Gettysburg e non perseguiva come scopo la mitica idea della battaglia campale decisiva. Semmai la distruzione pezzo per pezzo del nemico: questi, demoralizzato, alla ricerca di Lee e quindi in crisi di movimento, stanco per le marce forzate, appariva più vulnerabile che mai. Va da sé che se si fosse scontrato in condizioni favorevoli con il nemico, Lee, da buon generale, ne avrebbe approfittato. Esattamente come avvenne il 1° luglio: grazie proprio alla maestria del suo piano, la prima giornata si trasformò in un successo indiscutibile per la sua armata. Gli unionisti non furono semplicemente “ricacciati”(p. 110): due interi corpi d’armata nordisti furono praticamente disintegrati. E al contrario di quanto sostiene Luraghi, il successo non fu pieno solo a causa dell’indecisione ed inettitudine di Ewell (e di altri, come Early e Hill, occorre dirlo) che sebbene sollecitato da Lee non si mosse per occupare, quantomeno, Culp’s Hill , vera chiave di volta della zona. Cosa sia successo dopo è noto: Lee ordinò la prosecuzione dell’offensiva nel secondo giorno tramite un attacco sui due fianchi. A dire di Luraghi “le unità confederate si batterono con eroismo supremo mettendo sovente il nemico a mal partito; ma alla fine la formidabile potenza di fuoco e la fermezza di questi trasformarono l’attacco di questi in un sanguinoso fallimento” (p.112). Un marziano che capitasse sulla terra per caso e senza nulla sapere, leggendo tali parole avrebbe l’impressione che il 2 luglio 1863, sia stata una giornata nera nella storia dell’Armata della Virginia Settentrionale, con un “sanguinoso fallimento” come epilogo. Peccato che il 2 luglio 1863, sebbene non sconfitta, l’Armata del Potomac alla fine della giornata contasse 12.000 perdite mentre l’Armata di Lee ne abbia subite poco più della metà. E che la perfetta esecuzione del piano predisposto dal comndante confederato sia stata in gran parte vanificata dalla lentezza di Longstreet nel dispiegamento delle sue forze e dalla morte improvvisa del generale Pender, proprio allorquando, secondo le disposizioni di Lee, egli si apprestava a lanciare la famosa divisione leggera (un’unita di èlite) contro il centro federale. Gli è che la rappresentazione del piano di Lee da parte di Luraghi come di una sorta di assalto all’arma bianca senza senso alcuno, non solo è del tutto in veritiera, ma peggio ancora, assai semplicistica e costruita solo per dimostrare una tesi aprioristica – quella di un generale che non capiva nulla della guerra moderna, in buona sostanza e votato ad assalti frontali senza senso, verso posizioni nemiche ben trincerate – al di fuori della realtà storica. Il giorno seguente, come è noto, fu segnato nella storia dalla fatale carica di Pickett e dal suo sanguinoso fallimento (qui sì). Ma anche in questo caso, ha un senso ridurre tutte le questioni e i problemi posti dal piano di Lee e dalla sua imperfetta esecuzione (artiglieria inefficiente e mal servita, Longstreet restio e poco combattivo, mancata esecuzione del piano assai più articolato progettato da Lee) in quattro righe? Se così fosse, dovremmo domandarci come sia possibile che ancor oggi la questione della bontà o meno del piano di Lee sia dibattuta dagli storici.


(13) Chi scrive sta preparando una breve disamina del problema per il Forum.
(14)Cfr. Luraghi p. 102 n. 62 “Cfr. in proposito Charles Marshall, An Aide de Campo of Lee, a cura del Maggiore generale Sir Frederick Maurice, Boston, Massachussets, 1927, pp. 186 ssg.(…)”
(15)E.B. Coddington, The Gettysburg Campaign, NY 1968, p.9.


(6.-CONTINUA)
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Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale Empty Re: Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale

Messaggio  Banshee Gio 28 Mar 2013 - 15:34

In conclusione, si interroga Luraghi , quali considerazioni si devono trarre dal fallimento della campagna di Gettysburg – che in fondo rappresenterebbe il paradigma dell'intera condotta di guerra di Lee - a proposito del modo di operare del generale confederato? Egli fu certamente ingannato dalla sua smania di ricerca della battaglia decisiva, come ripetutamente affermato (ma erroneamente, a nostro giudizio). Ma a ciò Luraghi aggiunge ora due nuovi elementi che egli crede di intravedere nella personalità e nel modo di essere di Lee (pp.113-115). Da un lato, l’assoluta fiducia nelle potenzialità dell’ANV e dei suoi uomini. Per un altro, un certo qual disprezzo per gli unionisti, bottegai privi di quelle qualità che facevano del popolo del Sud, nessuno escluso, neppure il suo più umile rappresentante, dei veri uomini. Di qui la sua sottovalutazione delle qualità marziali dei soldati settentrionali. Del resto, Luraghi conclude, non è un caso che Lee si riferisse ad essi indicandoli come “quella gente” (those people) invece che come “nemici”, quasi a volerne sottolineare uno status di inferiorità.
Ma fu davvero così? A noi pare di no.
Indubbiamente Lee aveva un’altissima opinione dei suoi uomini e delle capacità dell’ANV di poter compiere imprese straordinarie. Ma possiamo dargli torto? Si può negare un fatto che è evidente a qualsiasi storico o semplice appassionato di storia militare? E cioè che Lee e la sua armata rappresentarono per 3 anni non solo una delle più grandi armate della storia (Luraghi deve concederlo, p.92) domata principalmente dalla disparità delle forze (perché, cari signori, checché se ne voglia dire, questo fu) , ma un modello di organizzazione, di capacità di movimento, di qualità belliche - tanto offensive che difensive - che viene ancora oggi citato ad esempio nei manuali. Che dire delle straordinarie e leggendarie marce di Jackson? Che pensare della calma e risolutezza che ispirava il corpo di Longstreet, allorquando esso doveva tenere il campo contro un nemico spesso il doppio del suo? Che dire delle unità di èlite che componevano il nerbo dell’ANV, come la magnifica Light Division forgiata da A.P.Hill, o la mitica Stonewall Brigade o ancora l’insuperabile Texas Brigade? O degli uomini del Mississippi che riconquistarono il saliente di Spotsylvania insieme ai georgiani di Gordon? O ancora degli uomini del North Carolina presenti ovunque il pericolo si palesasse? Vogliamo forse scordarci che dopo la resa di Appomattox un ufficiale nordista confessò di non poter credere che Lee si fosse arreso e che nel Nord gli incubi dei suoi abitanti, avevano come protagonista il generale confederato? La realtà, è che sono persino troppe, per essere sintetizzate qui, le occasioni in cui l’ANV mostrò le proprie capacità. Dunque Lee era così cieco? No. Poco prima della battaglia di Gettysburg, scrivendo al generale Hood (altra figura di straordinario combattente, quantomeno come divisionario) egli si diceva convinto che l’armata potesse compiere qualsiasi impresa e potesse andare ovunque, SE propriamente guidata. Quel caveat introdotto da Lee, che fu quasi un oscuro presagio, significava che essa doveva essere condotta al meglio per divenire imbattibile. A Gettysburg non fu così: Stuart, Ewell, Longstreet,, A.P.Hill, oltre a molti altri, non seppero operare, né tradurre in azione i piani di Lee. Anche costui commise alcuni errori, senza dubbio. Ma per quanto egli assumesse su di sé, come sempre, ogni colpa, le responsabilità dei suoi subordinati rimangono e sono gravi: volerle negare, fa danno alla storia. Quanto poi al disprezzo (o meglio alla sottovalutazione del nemico) da parte di Lee, si tratta di un’interpretazione del tutto infondata. Basterà qui dire che Lee nutriva grande rispetto per l’avversario (se non altro per la forza dei numeri e delle capacità industriali degli unionisti, a tacer d’altro, perché le fonti non mancano) e che è una frottola bella e buona che “i bottegai nordisti, erano per Lee solo <<quella gente>> : né mai [sic] egli li designò in altro modo” (p.115). Ora, che Lee nel mezzo dell’eccitazione della battaglia, spesso (ma non sempre, si noti bene) definisse gli unionisti così, non si discute (da rimarcare che avveniva sovente quand’egli giudicava indegno il loro comportamento come nel caso del generale Pope, autore di una spietata politica di occupazione nella Virginia). E molto probabilmente anche per rincuorare gli uomini e gli ufficiali, mostrando loro come non se ne dovesse aver paura. Ma che quell’espressione fosse pressoché confinata all’uso verbale, è altrettanto certo. Evidentemente le grandi raccolte di documenti ufficiali, lettere e testimonianze che concernono Lee e che sono state spesso segnalate come fonti dirette dallo stesso illustre storico piemontese, devono essere state mal digerite. Perché il termine che vi ricorre è “nemico” “armata nemica”(più spesso), oppure “Nord” “federali”(cfr per tutti i Wartime Papers, nell’edizione curata da Dowdey e Manarin). Tant’è che lo stesso Luraghi, incapace di offrire un solo documento di quel che viene asserendo. per tradurre il pensiero di Lee …ricorre alle parole del poeta italiano Carducci! (15).

Non tutto, ovviamente, nella leadership militare di Lee è negativo, per Luraghi. La campagna del 1864, come già detto, è da lui portata ad esempio di ciò che avrebbe dovuto fare già da prima. Certo ignorando totalmente, come pure l’Autore fa, il biennio 1862-63 (cui incredibile dictu, non viene dedicata neppure una riga!) e le eccezionali imprese di cui fu protagonista Lee, l’esempio è semplice e scontato. Ma anche qui, Lee si sarebbe reso responsabile di un grave errore: il distacco di Early con 20.000 uomini (in realtà molti meno) e la sua campagna al Nord sino a minacciare Washington, per tentare di distogliere l’attenzione da Richmond sotto assedio (pp.118-119). Che ciò si sia tradotto in un indebolimento di Lee senza produrre alcun risultato, non pare a noi. Non solo al contrario di quanto sostiene Luraghi, l’attacco produsse un’impressione enorme al Nord (che Lincoln fosse così tranquillo, non sembra a giudicare dalla lettera inviata a Grant il 10 luglio 1864) ma ebbe due conseguenze non marginali: il recupero del controllo, seppure temporaneo, della Valle dello Shenandoah (il “granaio” della Confederazione) e l’invio di ingenti forze da parte di Grant per contrastare Early. Soprattutto Luraghi sembra non comprendere che Lee sperava di riguadagnare l’iniziativa: senza di quella, ridotto ad una strategia operazionale e ad una tattica prettamente difensive, Lee – come puntualmente avvenne – si era confinato a difendere un città e a subire un assedio. E il risultato finale era scontato. Fu certo un tentativo sfortunato, ma vi era una precisa logica a consigliarlo- Laddove invece si deve convenire con l’analisi dell’Autore è sull’insistenza di Lee a mantenere Early nella Valle dello Shenandoah, con così poche truppe anche dopo il fallimento della manovra su Washington (p.122-123). Tuttavia l’analisi appare sbrigativa e condizionata dall’immancabile idea che Lee fosse convinto della superiorità di suoi uomini sugli avversari; fatto sta che a Cedar Creek, i confederati adeguatamente rinforzati da Lee, misero a mal partito il nemico e solo alcune fortunose circostanze salvarono Sheridan dalla sconfitta (egli perse quasi il doppio degli uomini guidati da Early).

(15) Significativamente, le stesse fonti a sostegno di tale tesi e cioè un articolo dello storico Carol Reardon e una pagina del McCabe non contengono alcun riferimento diretto alla questione: cfr. Luraghi p. 114, nota 88.

(7.-CONTINUA)
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Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale Empty Re: Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale

Messaggio  Banshee Lun 1 Apr 2013 - 9:56

In sostanza ultima, portando alle sue conseguenze il ragionamento di Luraghi, R.E.Lee fu il principale responsabile della sconfitta della Confederazione: non ebbe alcuna visione strategica nazionale, non comprese nulla dell'importanza del teatro dell'Ovest e quanto alla strategia operazionale e tattica egli si limitò a futili attacchi frontali che dissiparono il già povero bacino umano sudista. Anche quando assunse la difensiva (come avrebbe dovuto fare sin da subito) di fatto era ormai troppo tardi: a causa della sua (presunta) ossessione per la ricerca della battaglia decisiva, aveva esaurito le forze nel periodo pregresso e pertanto per quanto mirabilmente condotta, essa era destinata a fallire. I pregi di Lee iniziano e finiscono nell'aver saputo forgiare l'ANV come una delle più grandi macchine belliche della storia (p.92) e nella sua abilità nella scelta del terreno per difendersi (nel 1864). Ohibò, esclamerà il lettore, ma io credevo che Lee fosse l’unico generale che avesse messo a mal partito l’esercito nemico per tre anni e che ad eccezione di Gettysburg (che pure costrinse i settentrionali a stare fermi per quasi un anno) non fosse mai uscito sconfitto da un campo di battaglia. No, caro lettore, ti sei sbagliato: fu lui a perdere la guerra civile americana, mica i vari Bragg, Johnston, Hood e compagnia bella che in tre anni non ne azzeccarono una (ad eccezione di Chickamauga). Insomma, dopo molti miti dovuti a certa propaganda (anche se non tutti falsi,) invece di restituirci la vera dimensione di Lee e cioè quella di un essere umano e di un condottiero che poteva commettere (e commise) anche errori, Luraghi ci svela finalmente la verità. O meglio, quella che egli crede sia.

Questa sconcertante conclusione, per quanto l'Autore neghi di volerne seguire le orme, è esattamente quella propugnata da autori come Connelly e Nolan e i loro degni epigoni, di cui abbiamo dovuto dar conto in altra sede (15). Dalle loro opere, Luraghi pesca a piene mani senza alcun problema, ma anche senza confrontarsi con la ben più seria corrente storiografica che ha mostrato la pochezza e assurdità di tali tesi (Castel, Gallagher, Glattahaar, Bowden, Krick, Roland tra i tanti) . Se questo è il risultato delle ricerche dell'illustre studioso degli ultimi anni, c’è da rimpiangere la sua opera classica: e se non ricordiamo male lo stesso Autore in un articolo apparso su Tuttostoria nr.1 negli anni 90 (rivista che ebbe ahimé poca fortuna) aveva pesantemente bacchettato Nolan & co.

Quanto ai cenni biografici inerenti la vita di Lee prima della guerra, le cose non stanno molto meglio: Luraghi si dilunga sugli aspetti della vita privata del generale virginiano (con accenni semi-comici persino sulla sua sessualità pp. 76-77) a dir poco stravaganti, per costruire un ritratto del tutto inesatto e irrilevante dell'uomo, sulla scorta anche delle ricerche di Elizabeth Brown Pryor (un'epigona del politically correct, autrice di una recente biografia di Lee tutta tesa a dimostrarne i limiti come uomo e generale, piena di assurdità). Certo non si può negare che egli, come figlio del Sud, fosse convinto della bontà dell'istituzione della schiavitù e dell'inferiorità degli afroamericani rispetto alla popolazione bianca: un sentire che però andrebbe contestualizzato a quelle che erano le idee al riguardo nella stragrande maggioranza della popolazione dell'epoca, fosse essa nordista, sudista e, aggiungiamo noi, europea. Quantomeno, ci viene risparmiata la frottola di un Lee spietato frustatore di poveri negri, un falso storico che ogni tanto tentano di propinarci. In questo quadro le poche pagine a salvarsi, sono quelle relative alle motivazioni che indussero Lee ad aderire alla Confederazione (pp.83-89) salvo le conclusioni – la mancanza di una vera compartecipazione di Lee alla nuova nazione sorta, essendo egli solo un figlio della Virginia non della CSA – che non possiamo condividere.

All'opposto di Lee, si pone James Longstreet. Lui sì che aveva capito tutto, ragiona Luraghi. Non solo aveva una concezione strategica nazionale ben più ampia, ma aveva pure compreso l'importanza dell'introduzione delle armi rigate e aveva consigliato, inascoltato, prudenza al generale Lee prima dell’invasione della Pennsylvania. Peraltro il povero Longstreet, dopo la guerra sarebbe stato, per Luraghi, pure vittima della malvagia cricca degli Early & co. I quali per nascondere le proprie responsabilità nella guerra e per motivi politici, avrebbero montato, attendendo astutamente la morte di Lee, una falsa campagna contro Longstreet per la condotta tenuta da quest'ultimo a Gettysburg, ignorando peraltro che fu Longstreet prima della morte di Lee a lanciare accuse nei confronti del suo comandante, accusandolo di aver perso la testa nel corso della battaglia di Gettysburg e di non aver seguito i suoi consigli sulla tattica difensiva da adottarsi, pur avendo Lee promesso allo stesso Longstreet che egli si sarebbe attenuto alla visione del suo ufficiale subordinato. Menzogne che Lee, in vita, rigettò lapidariamente definendole “assurdità” e che Longstreet ebbe il coraggio di ripetere solo dopo la morte del suo ex superiore.

Al di là della veridicità delle affermazioni di Longstreet (veridicità della quale ci permettiamo seriamente di dubitare, visto che Longstreet nella documentazione coeva non ne fece mai cenno alcuno ed è giunto persino a vantare, l’esistenza di una pretesa lettera di Lee a lui indirizzata e scritta dopo la guerra, in cui quest’ultimo si sarebbe lamentato di non aver seguito i saggi consigli d Longstreet) alla lettura di simile parole, vengono in mente quelle assai più sensate del generale confederato Taylor: “ un recente articolo [apparso] sulla stampa, a firma del generale Longstreet, ascrive il fallimento a Gettysburg agli errori di Lee, che egli (Longstreet) invano cercò di mostrare [a Lee ] e [contro i quali] protestò. Che ogni materia concernente il possesso e l’esercizio dell’intelletto dovesse essere chiara a Longstreet e nascosta a Lee, è un’affermazione sorprendente per coloro che abbiano [avuto] conoscenza dei due uomini”

Il terzo soggetto del libro di Luraghi riguarda il generale U.S. Sympson. Qui il tono è totalmente diverso: Grant è l’esempio del modello di virtù ideale,uomo e generale privo di difetti e meschinità caratteriali. Dopo essersi soffermato mirabilmente sugli anni di gioventù (pp.127-136) e dimostrato come le accuse di essere un alcolizzato fossero una falsità, l’Autore celebra le gesta di Grant nel corso della guerra civile. Certo si può forse sorridere di fronte all’affermazione (non a caso espressa ex post facto?) di Grant, cui Luraghi sembra dare pieno credito, circa la guerra contro il Messico (1846-1848), da lui definita come una sorta di vergognosa guerra di aggressione condotta dagli Stati Uniti contro un popolo più debole, se non fosse che lo stesso Grant, all’inizio confinato nei servizi logistici, chiese poi di partecipare attivamente al conflitto, come comandante sul campo (p.131). Insomma, uno strano atteggiamento che si traduce in quella che appare una sorta di doppia morale e che dopo aver letto il ritratto di Lee, dovrebbe far gridare allo scandalo per la disparità di giudizio. Ma veniamo alla figura di Grant come condottiero. Quali erano dunque le sue caratteristiche, si domanda Luraghi. In primo luogo “durante l’intero conflitto , Grant ebbe sempre una visione dell’insieme dei fronti, cioè della grande strategia” (p.141). Che Grant una volta divenuto comandante in capo delle forze armate (cioè nel 1864) abbia dimostrato grandi capacità strategiche non ci pare in discussione: ma che egli prima di allora abbia mostrato di saper vedere oltre il teatro operazionale in cui si dovette confrontare (cioè quello dell’Ovest e del Mississippi in particolare) risulta un poco forzato, a dir poco. Sul piano operativo Grant, continua l’Autore, fu giustamente fautore di una strategia operazionale aggressiva, tutta basata sull’iniziativa: “non aspettate di essere attaccati, attaccate voi” ammoniva sempre il generale unionista. Il che è esattamente quanto sosteneva Lee sull’altra sponda: e questo punto non si comprende per quale motivo, nel caso di Grant si gridi ad un miracolo di genio militare e nell’altro, quello di Lee, al ludibrio e all’orrore. Nella scelta dei quadri, osserva Luraghi, egli fu perfetto: anche perché, forse, osserviamo noi, a differenza di quanto ci è stato propinato per anni come verità sacra, i federali erano ottimi ufficiali. E se il Sud avesse avuto, oltre a Lee, un Thomas , uno Sherman o uno Sheridan (tutti eccellenti comandanti), le cose forse sarebbero andate in modo diverso. Quanto infine al controllo dell’esecuzione, Grant avrebbe avuto l’abitudine a scrivere sempre per iscritto i suoi ordini, in modo chiaro. Sarà stato sicuramente così, ma guarda caso quando Grant si trasferì ad Est, alla testa dell’Armata del Potomac, i suoi ordini non vennero quasi mai capiti: a riprova che avevi voglia ad ordinare, ma se poi l’esecutore era un inetto, c’era ben poco da fare.

(16) [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
(17) R. Taylor, Destruction and Reconstruction, New York: Appleton, 1879, p.231.

(8.-CONTINUA)
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Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale Empty Re: Raimondo Luraghi: La Guerra civile americana - Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale

Messaggio  John Buford Lun 1 Apr 2013 - 21:04

Banshee ha scritto:
Il terzo soggetto del libro di Luraghi riguarda il generale U.S. Sympson. Qui il tono è totalmente diverso: Grant è l’esempio del modello di virtù ideale,uomo e generale privo di difetti e meschinità caratteriali. Dopo essersi soffermato mirabilmente sugli anni di gioventù (pp.127-136) e dimostrato come le accuse di essere un alcolizzato fossero una falsità, l’Autore celebra le gesta di Grant nel corso della guerra civile. Certo si può forse sorridere di fronte all’affermazione (non a caso espressa ex post facto?) di Grant, cui Luraghi sembra dare pieno credito, circa la guerra contro il Messico (1846-1848), da lui definita come una sorta di vergognosa guerra di aggressione condotta dagli Stati Uniti contro un popolo più debole, se non fosse che lo stesso Grant, all’inizio confinato nei servizi logistici, chiese poi di partecipare attivamente al conflitto, come comandante sul campo (p.131). Insomma, uno strano atteggiamento che si traduce in quella che appare una sorta di doppia morale e che dopo aver letto il ritratto di Lee, dovrebbe far gridare allo scandalo per la disparità di giudizio. Ma veniamo alla figura di Grant come condottiero. Quali erano dunque le sue caratteristiche, si domanda Luraghi. In primo luogo “durante l’intero conflitto , Grant ebbe sempre una visione dell’insieme dei fronti, cioè della grande strategia” (p.141). Che Grant una volta divenuto comandante in capo delle forze armate (cioè nel 1864) abbia dimostrato grandi capacità strategiche non ci pare in discussione: ma che egli prima di allora abbia mostrato di saper vedere oltre il teatro operazionale in cui si dovette confrontare (cioè quello dell’Ovest e del Mississippi in particolare) risulta un poco forzato, a dir poco. Sul piano operativo Grant, continua l’Autore, fu giustamente fautore di una strategia operazionale aggressiva, tutta basata sull’iniziativa: “non aspettate di essere attaccati, attaccate voi” ammoniva sempre il generale unionista. Il che è esattamente quanto sosteneva Lee sull’altra sponda: e questo punto non si comprende per quale motivo, nel caso di Grant si gridi ad un miracolo di genio militare e nell’altro, quello di Lee, al ludibrio e all’orrore. Nella scelta dei quadri, osserva Luraghi, egli fu perfetto: anche perché, forse, osserviamo noi, a differenza di quanto ci è stato propinato per anni come verità sacra, i federali erano ottimi ufficiali. E se il Sud avesse avuto, oltre a Lee, un Thomas , uno Sherman o uno Sheridan (tutti eccellenti comandanti), le cose forse sarebbero andate in modo diverso. Quanto infine al controllo dell’esecuzione, Grant avrebbe avuto l’abitudine a scrivere sempre per iscritto i suoi ordini, in modo chiaro. Sarà stato sicuramente così, ma guarda caso quando Grant si trasferì ad Est, alla testa dell’Armata del Potomac, i suoi ordini non vennero quasi mai capiti: a riprova che avevi voglia ad ordinare, ma se poi l’esecutore era un inetto, c’era ben poco da fare.
Ricordando l'opus maior di Luraghi non mi sembra che fosse così critico verso le capacità dei generali confederati. Anzi! Vero è che aveva una vera venerazione per Longstreet (e su questa sarebbe bene riflettere). Tuttavia le lodi a Grant mi sembrano francamente giustificate. E tuttavia...Se non ricordo male non è vero che Grant scrivesse sempre gli ordini ai suoi sottoposti. Nella battaglia di Shiloh (fonte "Il volto brutale della guerra" di Hanson) Grant disse a voce un ordine che venne frainteso da un ufficiale che successivamente dedicò l'intera vita a discolparsi ( e a scrivere libri di successo).
Ma alla fine della fiera che ne pensa di Grant, illustre Banshee?
PS: domani scrivo qualcosa sul libro, lo giuro!
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Messaggio  Banshee Lun 1 Apr 2013 - 23:02

Come ho ripetutamente detto, ritengo Grant un grandissimo generale, se non pari a Lee, di certo solo mezzo gradino sotto, ma solo proprio mezzo, se non altro perchè godeva di una superiorità numerica e logistica che poteva favorirlo: fu senza dubbio lui il vero vincitore della GCA. E credo che sia stato grandissimo, proprio perchè, al contrario di quanto sostiene Luraghi - il quale deve per forza mantenere, anche per questioni narrative (ma non storiche) quest'idea della distinzione tra Nord e Sud anche nel carattere dei rispettivi comandanti - Lee e Grant erano in realtà molto simili sul piano strategico operazionale e (ma meno) anche su quello tattico. Entrambi votati all'offensiva e all'iniziativa, entrambi tentavano di dominare l'avversario soprattutto sul piano della manovra strategica, dividendo le proprie forze mediante la velocità. E una volta sorpresi i nemici attaccavano implacabilmente.

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Messaggio  Banshee Mer 3 Apr 2013 - 10:48

Come esempio delle qualità di Grant, Luraghi si sofferma brevemente su quella che viene considerata la sua più felice campagna operazionale: ossia la conquista diVicksburg (pp.143-149). Giustamente, perchè non v'è dubbio alcuno che Grant in quell'occasione abbia mostrato tutte le sue eccellenti doti di stratega e tattico. Rispetto alla sua opera maggiore, non vi sono novità di rilievo: invano si cercherebbero analisi critiche all'operato di Pemberton o Johnston e i riferimenti di Luraghi si limitano ai contributi di Edwin C. Bearss, ignorando completamente le opere di Grabau e Winschel. Assunto il comando generale delle forze armate unioniste nel 1864, Grant, prosegue l'Autore, riuscì finalmente a coordinare i vari teatri operazionali tra loro in un unico movimento strategico nazionale offensivo: e in ciò mostrò una tenacia e una visione d'insieme eccezionali, su cui non si puà che concordare. Sul piano operazionale la sua campagna in Virginia fu esente da errori, mentre sul piano tattico, nemmeno lui, al pari di Lee, comprese la rivoluzione introdotta dall'arma rigata (p.151). Sennonché Grant rimane nella visione di Luraghi il primo generale moderno e Lee l'ultimo generale di un'epoca scomparsa: curiosa conclusione, viste le identiche basi di partenza. Sorprendente poi che l'Autore affermi che Grant a differenza di Lee avesse compreso la visone politica della guerra, come dimostrato dal magnanimo atteggiamento del generale unionista ad Appomattox: come se Lee diffettasse di tale visione (p.153). Eppure Lee aveva più volte espresso l'opinione che il Nord non potesse essere vinto militarmente e che per arrivare all'indipendenza il Sud doveva costringere l'Unione a sedersi al tavolo della pace. Cioè a dire esattamente una visione politica e clausewtziana della guerra, che però Luraghi ignora (o finge di ignorare) totalmente. La presidenza Grant (una delle più discusse e sfortunate leadership politiche del Nuovo Continente) è liquidata in tre paginette dense di comprensione e giustificazioni, mentre i numerosi, gravissimi scandali (al di là della responsabilità personale di Grant) e l'incapacità di Grant di assicurare al Sud quella pace fraterna di cui discettava Lincoln sono passati inspiegabilmente in silenzio. Se dunque Grant abbracciò davvero l'idea di Lincoln quando era generale, se ne dimenticò velocemente finita la guerra, tradendo una miopia e una sconcertante - appunto - mancanza di visione politica.
In sostanza ultima, il ritratto di Grant è privo di qualsiasi ombra: un uomo e un condottiero assolutamente perfetti, senza pecche o errori. Degno di entrare nella mitologia, più che nella storia.

Il successivo contributo riguarda le scelte strategiche dell'alto comando confederato nella primavera estate 1863 (e non solo) e il dilemma tra Vicksburg e Gettysburg. L'utilità di trattare una siffatta problematica in 9 paginette scarse, ci sfugge. Di qui l'assoluta carenza di approfondimento circa la strategia complessiva confederata che fu di fatto orientata dal Presidente Davis (liquidata, erroneamente, come inesistente) mentre si sostiene, abbastanza incredibilmente, che Johnston sarebbe stato fautore inascoltato, al pari di Beauregard (e in questo caso possiamo convenire con Luraghi, anche se i piani del generale creolo si traducevano per lo più in proposte irrealistiche e un pò fantasiose) di una grande strategia (o strategia nazionale) per la Confederazione. Come, dove e quando Johnston abbia proposto tale grande strategia nazionale, rimane un mistero: giacchè al di là di domandare rinforzi su rinforzi, Johnston anche quando fu posto al comando del superdipartimento nr.2 (cioè di fatto l'intero Ovest fino al Mississippi) non mosse un dito per coordinare le forze, né suggerì altro ai suoi ufficiali se non ritirarsi.
Ovviamente anche in questo caso Lee assume la parte dell'incapace: per Luraghi egli ebbe, pensate un pò, persino la sfrontatezza di chiedere che parte delle truppe stanziate all'Ovest fossero a lui spedite. Meno male, aggiunge l'Autore, che così non fu fatto. Meglio sprecare uomini e risorse ad Occidente e affidarli a un branco di ufficiali che, ciascuno per suo conto e nella sostanza ultima, passarono il tempo a litigare tra loro, tramare per farsi fuori, arrendersi in massa, farsi bastonare dagli unionisti. Un'ottima scelta, non c'è dubbio. Forse, se davvero si fosse potuta vincere la guerra, avrebbe avuto più senso lasciare un velo di truppe ad Occidente e concentrare le forze presso l'eccellente ANV affidandone la guida al miglior generale della Confederazione il quale era, checché ne dica Luraghi, il generale Lee.
Quanto ai piani del generale Beauregard e Longstreet, Luraghi ci dice molto per sommi capi in cosa sarebbero consistiti, senza precisare che di fatto non furono mai esposti (!!!) all'alto comando confederato e che anche se applicati poggiavano su basi così illogiche e su premesse così folli (si può davvero pensare che il timido e svogliato Johnston o un Bragg, già di per se stesso nient'affatto un genio, minato poi com'era da un corpo ufficiali che ne chiedeva la testa, avrebbero condotto un'operazione brillante ??? nelle favole, forse) che la loro riuscita era affidata solo alla fantasia.
In sostanza, il saggio è del tutto inconcludente e piagato da errori, false premesse e fraintendimenti tali da costituire una curiosità letterario-storica.

(9.- CONTINUA)


Ultima modifica di Banshee il Mer 3 Apr 2013 - 18:41 - modificato 1 volta.
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